Il datore di lavoro, in presenza di fatti che giustifichino l’applicazione di sanzioni disciplinari, deve contestare preventivamente l’addebito (fatta eccezione per il rimprovero verbale) e sentire a difesa il lavoratore.
La contestazione di addebito va comunicata per iscritto al dipendente, a pena di nullità, ha natura ricettizia ed il decorso dei termini a difesa parte dal momento in cui la contestazione perviene nella sfera di disponibilità dell’interessato (con lettera raccomandata, con consegna a mano provata con firma di ricevuta o per testi, con PEC).
Qualora si utilizzi la comunicazione postale, essa va indirizzata al domicilio del dipendente, essendo ininfluente che lo stesso accampi la giustificazione di non averla ricevuta, avendo cambiato indirizzo, se non ha provveduto a comunicarlo tempestivamente al proprio datore di lavoro.
Una fattispecie che, talora, si è presentata nelle discussioni arbitrali è quella in cui il lavoratore si sia rifiutato di ritirare la lettera di contestazione. Una recentissima sentenza della Cassazione, la n. 7306 del 14 marzo 2019, riferendosi, peraltro, non alla contestazione, ma alla lettera di adozione del provvedimento disciplinare, ha affermato che, in caso di “consegna a mano” in busta chiusa, a fronte del rifiuto del lavoratore, non si perfeziona l’avvenuta ricezione a meno che il datore di lavoro non abbia provveduto a leggerne il contenuto al destinatario.
Come deve essere formulata la contestazione di addebito?
La contestazione deve essere precisa, puntuale ed immodificabile, così da mettere il dipendente nelle condizioni di poter esercitare validamente il “diritto a difesa ” nelle forme previste dal comma 3 dell’art. 7 dello Statuto dei diritti dei lavoratori (L. 300/1970).
Da ciò consegue che formulazioni generiche come: “atteggiamento irriguardoso”, “grave accadimento”, “espressioni irriguardose” appaiono scorrette, atteso che è sempre meglio riportare nel modo più preciso possibile i fatti per come si sono verificati e le espressioni verbali contestate tra virgolettato.
Sia la giurisprudenza che le decisioni adottate dai collegi di conciliazione ed arbitrato attribuiscono una fondamentale importanza alla fase interna di formazione del provvedimento ed hanno enucleato alcune questioni sulle quali è opportuno soffermare l’attenzione:
1) ammissibilità delle indagini “preliminari”: certa quando la conoscenza dei fatti risultanti dalle indagini preliminari precede la valutazione degli accertamenti e non è, in alcun modo, essa stessa “contestazione”;
2) tempestività della contestazione rispetto al fatto all’origine della mancanza: va correlata al momento in cui l’imprenditore individua la mancanza disciplinare;
3) possibilità per il datore di lavoro di prefigurare, già nella contestazione, il provvedimento che intende adottare: ciò è ritenuto possibile in quanto non significa manifestazione anticipata e predeterminata della volontà di punire, a prescindere dalla difesa che eserciterà il lavoratore. Le giustificazioni addotte da quest’ultimo potranno essere ritenute valide parzialmente o totalmente: in ogni caso è necessaria, al termine dell’iter procedimentale, una nuova nota che puntualizzi la sanzione che si adotta e che può esser diversa da quella ipotizzata nella prima lettera;
4) necessità dell’espletamento dell’audizione del lavoratore: la norma non impone alcun onere al datore di lavoro di costringere il dipendente a discolparsi, essendo quest’ultimo libero di esercitare il diritto a difesa nella forma che reputa più opportuna. Ciò che è importante è il decorso temporale dei 5 giorni, dalla data in cui il dipendente ha ricevuto la contestazione (con l’eventuale invito a discolparsi nella stessa), perché un’adozione del provvedimento, prima della decadenza di tale termine, potrebbe portare ad un atto affetto da nullità procedurale;
5) problema dell’eventuale indicazione delle prove su cui si fonda l’addebito: le prove non vanno riportate, in quanto esse sono interne alla volontà dell’imprenditore e potrebbero, se rivelate, creare problemi relazionali tra il c.d. imputato ed altri dipendenti.
E’ evidente che, successivamente, sia nella eventuale fase arbitrale che in quella giudiziale esse dovranno esser prodotte dal datore di lavoro a comprova della validità dell’atto adottato.
La contestazione, in sostanza, ha la funzione di indicare il fatto contestato per consentire al lavoratore la successiva difesa e non ha per oggetto le relative prove (Cass., 23 ottobre 2007, n. 22236), richiedendo, soltanto l’esposizione dei dati e degli aspetti essenziali del fatto sanzionabile in via disciplinare;
6) soggetti legittimati alla consegna delle contestazioni:la contestazione dell’addebito può essere fatta dal superiore gerarchico del lavoratore che, in tale veste, rappresenta, senza bisogno di alcuna delega scritta, il datore di lavoro; buona regola, nei limiti del consentito e dell’organizzazione d’impresa, è quella di far procedere le contestazioni da chi si occupa dei trattamenti del personale.